Correva l’anno 1956 e il 2 del mese di Febbraio ricorreva la festa della Candelora giorno dedicato a San Biagio protettore dei lebbrosi, delle piaghe e della gola e alla sera di quel giorno nella messa vespertina venivano incrociate ai fedeli presenti due candele sotto la gola per proteggerla dai mali ad essa annessi; dopo la sacra funzione tornando a casa venivano accesi davanti allo stazzo (aia) i “faori” composti da fasci di canne vecchie e secche con all’interno dei rami di lauro (alloro) che accesi facevano un gran calore e scricciolii e tutt’intorno si cantava ”evviva a Cannelora altri 40 giorni e l’inverno è fora” fino a che il fuoco si spegneva lasciando sulla terra la cenere bollente.
La mattina seguente alzandoci per andare a scuola ci siamo trovati con il terreno coperto da circa 2ocm. di neve e seguitava a nevicare, suscitando lo stupore e la gioia di tutti noi bambini per l’avvenimento e principalmente per le scuole chiuse; tale contentezza diventò, con i giorni a seguire, monotonia e noia in quanto seguitava a nevicare il giorno e la notte gelava creando uno strato di neve congelata lungo le strade e i vialetti di casa che ormai avevano un’altezza di quasi un metro per la durata di 40 giorni continui (per fortuna l’inverno doveva essere fora).
Si sta raccontando di un fatto risalente il primo dopo guerra con tutte le problematiche del tempo in quanto eravamo isolati da tutti i paesi limitrofi e in particolare dal capoluogo Velletri impossibilitato ad intervenire nel darci aiuto; la nostra più grande fortuna per la sopravvivenza, perchè la gente era alla fame nel vero senso della parola, è stato l’intervento dell’Ente dei Beni Demaniali, istituito con la sentenza del Commissariato degli usi Civici del 1935, che impiantò una cucina presso la canonica della chiesa preparando del cibo caldo tutti i giorni (fagioli e cannolicchi) da distribuire alla popolazione in possesso della tessera di povertà; mi ricordo addetta alla cucina c’era la signora Antonietta che cucinava ed era addetta alla distribuzione del cibo elargendo un mestolo di minestra ad ogni persona componente della famiglia e io mettendomi in fila al mio turno mi versava dentro la gavetta sei mestoli di minestra, tanti eravamo a quel tempo in casa, più uno in quanto era compaesana e amica di mamma (ciociara); tutto questo è durato fino a Pasqua dopo 40 giorni di neve e ghiaccio con enormi sacrifici di tutti i larianesi che svolgendo il lavoro nei campi e principalmente nell’attività boschiva non anno potuto lavorare e più di una famiglia non avevano nemmeno la farina per fare il pane il Venerdì per la provvista di tutta la settimana della famiglia, che Pasqua quell’anno!!!
Nel periodo della neve svolgevamo, per far passare il tempo e mettere qualcosa sotto i denti, le cose più strane quali: mettere il coperchio delia botte di legno inclinata sulla terra nuda tramite un legno e una cordicella e sotto disseminata di molliche di pane e qualche chicco di grano, per chi ne era in possesso, quando qualche uccellino andava a beccare si tirava la corda intrappolandolo che veniva subito cucinato con un pizzico di conserva di pomodoro e cipolla per dare sapore condire e “sagnacce” (pasta fatta in casa con farina sale e acqua) per calmare i brontolii dello stomaco, “ha fame era brutta”.
Durante il giorno si giocava a far la guerra di palle di neve a volte anche con ferite in quanto si usava neve ghiacciata, mi viene in mente un fatto accaduto: un giorno sono venuti alle mani mio fratello Franco (Buscaglione e Aldo Prati padre di er Cicoria) che lottando sulla neve si rotolavano su di essa cercando la mossa migliore per sferrare un colpo e, io, vedendo mio fratello soccombere, in quanto più mingherlino, che e era rimasto sotto l’avversario feci una grande palla di neve e mentre la scagliavo su Aldo questi si spostò colpendo in pieno viso mio fratello che alzandosi mi rincorse per mezzo Lariano.
Negli anni a venire dopo aver frequentato le scuole elementari, venivo affascinato da un prete Orionino che passando per Lariano (Don Ripepi) il quale cercava ragazzi da reclutare a futuri sacerdoti, in cinque abbiamo aderito (Biagi Franco – Raponi Bruno – Corsetti Giancarlo-Angeloni Antonino ed io Bastianelli Gianni) che lasciando le famiglie ci siamo trasferiti nel Seminario Orionino di Grotte di Castro in provincia di Viterbo con vista sul lago di Bolsena; trascorsi circa tre anni, chi prima chi dopo, ci siamo accorti che la vita ecclesiastica non era per noi e siamo rientrati a casa.
Al ritorno il paese era rimasto uguale e tale come lo eravamo lasciato tre anni prima cioe: la strada era asfaltata e veniva percorsa da pochissime automobili in particolare tutti i giorni transitava un motocarro Guzzi Ercolino carica di sacchetti di calce viva che proveniva da una “calecara” di Artena (così veniva chiamata la fornace dove venivano cotti i sassi calcarei della zona che dopo essere stati messi in una buca ricoperti con l’acqua si scioglievano diventando calce viva che dopo alcuni giorni prelevata e aggiunta alla pozzolana diventava malta per costruire) e un autobus della ditta Santori e Parenti che trasportava gli operai alla fabbrica della Calce e Cementi e alla polveriera di Bombrini- Parodi – Delfino di Colleferro che dava lavoro e pane a migliaia di lavoratori di Lariano e paesi limitrofi.
Dopo la scuola il pomeriggio trascorreva giocando, con un pallone di stracci, lungo la strada spostandoci ogni volta che qualche autoveicolo suonava per passare ma il gioco più spettacolare era il giro d’Italia a “scattoglitti” (così erano chiamati i tappi di latta delle bottiglie di birra) che partiva dal distributore dell’Agip di Checchinetto (Checco Candidi) fino in piazza S. Eurosia: tutti i giocatori erano in possesso dello scattoglitto, comprato da Silverio “Pinpapero” che era il figlio di Erminio Abbafati titolare dell’osteria che era sulla via Roma che servendo la birra ai clienti i tappi se li prendeva e li rivendeva (Commerciante nato), il tragitto era segnato al centro della strada con pezzi di calce che rubavamo all’Ercolino.
Spesso ci spostavamo alla stazione di Lariano dove in attesa del treno che collegava Velletri con Colleferro, andavamo lungo il viale che portava alla casa dei signori “Romani”, proprietari di grandi territori seminativi, dove c’erano degli alberi di Gelsi che salendoci sopra ne mangiavamo a sazietà, la fame era tanta, finchè non veniva il “Fattore” facendoci scappare a scapicollo; il treno, a vapore, quando arrivava faceva delle manovre per portare i vagoni merci sul “piano caricatore” per caricarli di “doga di Spagna” (esportata e utilizzata in Spagna per fare botticelle e barili per il vino) ed altro legname di castagno, mentre era sottosforzo facendo tali manovre emetteva del fumo che odorava di zolfo ed era nero, denso ed acre e noi lo respiravamo a pieni polmoni perché ci avevano detto che quel fumo faceva bene per prevenire la “tosse convulsa”, immaginate che capoccia!!!
In estate un modo come un altro per passare iI pomeriggio e divertirsi era quello di fare delie passatelle di fette di cocomero che acquistavamo da Abbafati Eligio che vendeva cocomeri e meloni in piazza sotto la quercia, si passava alla conta con circa trenta quaranta persone e ai vincitori e loro compari buone…. pisciate e i perdenti fatti “ormi” per gustarlo dovevano mettere Ia mano “nsaccoccia”; voglio raccontare un fatto curiosissimo: un giorno eravamo alla trattoria del “Barone”, posta sotto Ia piazza, e si erano formati due gruppi di circa una ventina di ragazzi uno più grande di età facente capo a “Ombra” Lamberto Colasanti e l’altro rivale capeggiato da me, decidemmo di fare una passatella di spuma (bevanda nera, dolce e gassata), facciamo la conta ed esce vincitore o Barone che nomina padrone “Ombra” e sotto io, iniziò a fare il gioco e per farmi ormo da sotto padrone si bevve tutta Ia passatella, circa tre litri, tra Ie risate e gli sfottò dei suoi amici andando al bagno a “cacarella” per una settimana, questi erano gli scherzi che si facevano allora per ammazzare Ia noia. Lariano era composto per di più di capanne e baracche solamente lungo Ia via principale Ariana esistevano ed alcune ancora esistono dei caseggiati in muratura, il lato nord delia strada principalmente era di “Temmeroni” (terrapieni) che partivano dalla proprietà Candidi fino da “Paccarino” interrotti ogni tanto dalle case di Romaggioli padre del dottor Claudio, “Fagiolino”, eredi Romei, eredi Ludovisi tutti, distributore Agip di eredi Candidi, Sciotti Dandino (padre di Alceste), caseggiato degli eredi D’Abbruzzo, l’osteria di Abbafati Erminio, eredi Massimi, quindi Spallotta Fernando (o compare), Di Silvio Pietro (chiamato “Canna” o macellaro nonno di Alberto), proprietà Magliocchetti, eredi Palmieri Sergio, Etterino o Barbiere e rivendita giornali, eredi Gabrielli, eredi Belli, eredi Ricasoli, a bottega di Mariuccio e sorella, la scuola Elementare oggi abbattuta, chiesa parrocchiale, la fontana del Simbrivio in piazza, case popolari, Palazzo dell’Ente Beni Demaniali, proprietà Biagi, casa Massimi Umberto detto Paccarino posta sopra o spallettone o temmerone, la proprietà Mattacchioni con l’antica osteria, eredi Angeloni, eredi Spallotta; mentre sull’altro lato sud privo di limitoni o temmeroni, le case di Pavan, la casa do “Fagocchio” Tibaldi Silvano (fabbricava e riparava i carretti mestiere importante allora), eredi Zaottini, eredi Anselmo Ciriaci, eredi Palmieri Aurora, eredi Prati, eredi Bastianelli Onofrio (mio nonno dove sono nato), Di Re Rino padre di Clemente (0 King), eredi Abbafati (leprotti), eredi Ferrante Carrante (i ciociari), eredi Carosi i “muglinari”, Eredi Spallotta Elvio, il fontanile e lavatoio pubblico, eredi Alessandrini (Marcello o Barone), casa bombardata ora palazzo Banca Popolare del Lazio, a mola (mulino) de Annita eredi Carosi, l’osteria e casa di Genesio Ricci o postino dove si smistava la posta, eredi Ludovisi Ferdinando, eredi Colella (ferramenta e vetreria) suocero di Maurizio Caliciotti attuale Sindaco, a casa de Piccone o cieco, eredi Piccardi, eredi Mattacchioni Nicandro, e per ultimo la casa degli Angeloni il Capo Stazione di Velletri prima della curva “de Morettò”, queste erano le case lungo la strada del centro di Lariano a quei tempi le altre case sono state ristrutturate e costruite dopo il 1963.
Negli anni a seguire ormai diventati ragazzotti si è passati dalla vita fanciullesca a un modo di vivere adeguato dove iniziava l’era dei Beatles dei Rolling Stones e della televisione dove vedevamo i programmi, con inizio alle ore 17,00 con la Tv dei ragazzi Rintintin, al Bar dello Sport di Marcello Biagi sotto la quercia (piantata nel 1922 dal vigile Serra di Velletri) dove erano poste della sedie per vedere i programmi solo Rai 1 con consumazione obbligatoria; si incominciava ad andare nei paesi limitrofi per cercare di divertirsi in poco in quando a Lariano non esisteva niente e l’unico mezzo di locomozione per noi giovani era la macchina di Alberto Alessandroni una Simca Coupè nera, l’unico problema era che quando arrivavamo al posto fissato uno doveva rimanere a guardiano della macchina e guai se ti appoggiavi alla carrozzeria ed avevi la chiusura dei pantaloni con la zip; se non si andava fuori le serate venivano passate in piazza sotto la quercia a ballare davanti il Juke Box del Bar eseguendo i balli più sfrenati: Twist – Roc-Kan-Roll e Cha Cha Cha con i pantaloni a campana e capelli lunghi fino a tarda sera procurandoci subito l’appellativo della gente anziana e d invidiosa del paese come nullafacenti e “birbaccioni” con tutte le ripercussioni quando rientravamo a casa.
Ormai quasi maggiorenni e con le ragazze tutto chiesa e casa con le gonne fin sotto il ginocchio e stufi di fare periodicamente il “cinque contro uno fuori la guardia” dietro i frattoni della grande estensione terriera di proprietà di Santovetti chiamata Riserva” (ora tutta edificata, che iniziava dalla casa di Mariuccio in piazza e si snodava dietro la chiesa e terminava su via castello d’Ariano da Ovest e nord – con via Orsini ad est e via Urbano IV a Sud), si incominciava a pensare a rapporti osè con le donne ma il problema era la mancanza di femmine a Lariano e di mezzo di locomozione per andare altrove; mi ricordo che una volta approfittammo di un passaggio che ci diete un Spallotta che con la sua Fiat Giardinetta, quella con la struttura in legno, fummo portati a Roma dietro Cinecittà, luogo frequentato da “Signorine” perbene che andavano a spasso solo con gli uomini ed incominciammo a fare i preamboli del caso, la soggezione era tanta e mi ricordo che Albertino, o macellaro, si fece più sfacciato e avvicinando una di queste non sapendo iniziare l’approccio Ia fermò e gli disse “a signori che te servono i soldi spicci?” ci fù una risata generale e ritornammo a casa in bianco.
Il resto alla prossima volta.
Lariano Giugno 2016
A Striglia ex tenente VV.UU. Lariano 1975/2008
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